Una storia sbagliata

Enrico Luschi • mag 14, 2021

Partiamo dal lontano 2003 per farci due risate

Ave villici!

Oggi iniziamo un lungo viaggio che ci porterà lontano, nel tempo e nello spazio. Un viaggio che ci servirà a scoprire qualcosa in più sull'inferno che stiamo vivendo da Marzo 2020. Sarò un lungo articolo a puntate, non so quanto durerà.

La nostra storia inizia ad Hong Kong, nel febbraio del 2003. Nella camera 911 dell’hotel Metropole soggiorna un cliente cinese, medico dell’Università Zhongshan a Guangzhou. Arriva dalla Cina con molta tosse, ma non se ne preoccupa molto e fa la normale vita del turista fino a quando la brutta tosse diventa una grave crisi respiratoria che lo porta ad essere ricoverato al Kwong Wah Hospital.

Nello stesso piano dell’hotel soggiorna anche Johnny Chen, uomo d’affari americano di chiare origini asiatiche. Rimane al Metropole fino al 23 febbraio, quando parte per Hanoi, Vietnam. Altro cliente dell’hotel è una simpatica 78enne canadese, anche lei lascia Hanoi nello stesso giorno per tornare a Toronto.

Chen quando arriva ad Hanoi inizia a sentirsi poco bene ed il 28 febbraio è già ricoverato all’ospedale francese a causa di una grave polmonite. Viene curato con degli antibiotici, ma non si notano miglioramenti, anzi iniziano ad ammalarsi anche le 10 infermiere del reparto dove è ricoverato. Lo stesso 28 febbraio Olivier Cattin, il primario del reparto dove è ricoverato Chen contatta Carlo Urbani, un infettivologo italiano in forza all’Organizzazione Mondiale della Sanità (Oms), in servizio proprio ad Hanoi.

Finita la telefonata Urbani prende il motorino e si reca all’ospedale per visitare il paziente. La sua diagnosi è che si tratti di una nuova influenza aviaria, scarta decisamente l’ipotesi di una influenza semplice, per quanto grave. Avverte immediatamente il suo responsabile all’Oms dellasituazione potenzialmente esplosiva.

Nei giorni successivi si ammalano altre infermiere dell’ospedale ed altri abitanti di Hanoi. Urbani si fa in quattro per consegnare ad un centro sufficientemente attrezzato i campioni di sangue e muco da analizzare. Ma dal laboratorio scappano tutti gli addetti appena capiscono che si tratta di qualcosa di nuovo e sconosciuto. Rimane in servizio solo una giovane microbiologa, madre di 3 bambini. Intanto il 4 marzo il medico cinese ricoverato ad Hong Kong muore.

Urbani e l’Oms capiscono che devono fare pressioni sui burocrati del Vietnam per chiudere i collegamenti esterni e isolino il Paese. Si segnalano intanto strane malattie simili anche nelle Filippine e in Canada, tutte riconducibili ad un agente patogeno nuovo e fino ad ora sconosciuto. Intanto la situazione inizia a sfuggire di mano: l’ospedale di Hanoi è diventato un focolaio e viene chiuso in via preventiva. Il 9 marzo Urbani e Pascale Brudon vengono ricevuti dal viceministro della Salute vietnamita, nel corso del colloquio espongono la loro preoccupazione e invitano il Vietnam a prendere in mano la situazione, anche a costo di scelte dolorose. La loro idea viene accolta dal viceministro ed il Vietnam quindi si isola dal resto del mondo.

L’11 marzo Urbani vola a Bangkok, deve prendere la parola ad una importante conferenza internazionale sulle malattie tropicali e pensa di cogliere l’occasione per lanciare un grido di allarme sul nuovo virus che è già presente in Cina, Hong Kong, Taiwan, Vietnam, Filippine, Canada, Australia, Germania, Irlanda, Svizzera, Gran Bretagna e Stati Uniti. Durante il volo si accorge di avere freddo, purtroppo i troppi contatti con i contagiati dei giorni precedenti risulteranno fatali. Urbani infatti morirà a cusa della nuova malattia il 29 marzo del 2003, senza nemmeno sapere di aver salvato il mondo da una potenziale pandemia devastante.

Infatti grazie al blocco dei voli e degli spostamenti il Vietnam pare essere riuscito a bloccare il nuovo virus sconosciuto. Ben presto si ricostruisce che l’origine di questo virus è cinese e l’Oms chiede al regime di Pechino di poter inviare i propri esperti per aiutare a contenere il contagio e capirne di più su questa nuova sconosciuta malattia. Ma Pechino rifiuta, c’è in ballo il passaggio di potere tra Jiang Zemin e Hu Jintao e la nazione è troppo concentrata su questo per poter pensare ad altro. Intanto l’Oms a Ginevra battezza il nuovo virus “Severe acute respiratory syndrome”, ossia Sars.

Passano i giorni e la Cina ancora nicchia, tutta presa nell’investitura del nuovo Capo Supremo Hu Jintao, l’Oms si fa sempre più pressante affinchè Pechino inizi a collaborare seriamente e finalmente il 3 aprile il ministro della sanità Zhang Wenkang in una conferenza stampa dichiara che fino ad ora in Cina si contano solamente 12 casi e 3 morti. Tra i milioni di telespettatori della conferenza stampa c’è anche tal Jiang Yanyong, stimato chirurgo dell’ospedale #301 dell’Esercito popolare di Liberazione di Pechino.

Ascolta la notizia in TV e ripensa a qualche giorno prima, quando ha saputo di uno strano contagio al vicino ospedale #302, mentre qualche giorno si era ammalato anche un suo collega dell’ospedale #301. Inizia a contattare i colleghi con i quali ha più confidenza e a fine giro di telefonate fa la somma dei contagi che gli sono stati comunicati. Il numero reale dei contagiati è 146, non 12. Sconcertato dalla bugia sentita in diretta tv dal Ministro della Salute e dalla drammatica situazione in città, il 4 aprile Jiang Yanyong scrive una mail a tutti i suoi contatti in rubrica e alle maggiori testate nazionali per lanciare l’allarme, una mail che segnerà la sua esistenza.

Cito alcuni passi: “Il Ministro della Sanità ha detto che il governo cinese ha affrontato la Sars coscienziosamente e che l’epidemia è stata tenuta sotto controllo. E’ impossibile credergli. [….] Il ministro della Sanità ha convocato una riunione con i direttori dei vari ospedali informandoli che Pechino registrava casi di Sars, ma c’è l’obbligo di non rendere pubblica la notizia per non destabilizzare l’ambiente in vista delle due conferenze del passaggio di consegne tra Jian Zeming e Hu Jintao.. […] Le informazioni riportate sono vere e io ne rispondo personalmente”.

La mail arriva anche alla stampa estera e quattro giorni dopo viene contattato dal Wall Street Journal per un’intervista che uscirà online il 9.


I siti cinesi traducono l’intervista e la diffondono in rete. Nessuno da Pechino smentisce i numeri ed i fatti narrati da Jiang Yanyong, l’Oms coglie la palla al balzo: accusa Pechino di gravi omissioni nella gestione del contenimento ed invia di forza i suoi ispettori. Il Ministro della Sanità cinese però non molla, dichiara che i suoi dati sono giusti. Dopo 5 giorni (16 aprile) l’Oms convoca una conferenza stampa e conferma le notizie ed i numeri denunciati da Jiang Yanyong. Il 20 aprile il viceministro della Sanità cinese annuncia che a Pechino i casi confermati sono 339 (oltre a 402 sospetti ancora in corso di validazione), intanto nello stessa data vengono destituiti dal rispettivo ruolo proprio il Ministro della Sanità ed il sindaco di Pechino.

Fortunatamente nel giro di due mesi la Sars viene bloccata, alla fine della fiera nel mondo vengono registrati 8096 casi, 774 morti ed un tasso di letalità del 9,6%.

Jiang Yanyong intanto inizia il proprio calvario senza fine: viene più volte arrestato, sottoposto a sedute di lavaggio del cervello e ricoveri forzati. Il ringraziamento della dittatura comunista cinese per aver svelato la censura sul nuovo virus. Ancora nella primavera del 2019, quando viene ricoverato un mese per una polmonite, le autorità militari lo fanno piantonare a vista e impediscono le visite dei familiari. L’altro medico che per primo ha bloccato la Sars in Vietnam, l'italiano Urbani, risulta essere una delle 774 morti. Ma in questa storia non ci sarà quasi mai il lieto fine.

Continua…

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