Andrà ora in onda Ungheria-Venezuela

Enrico Luschi • apr 19, 2021

Andrà molto peggio.

Ave villici!

Da qualche tempo, per motivi non facili da spiegare in un blog ma che possono ridursi facilmente alla dizione “cazzi miei”, mi trovo spesso a pensare a che futuro ci attende come Paese. Per come vedo le cose io non sarà un periodo particolarmente felice, finita l’emergenza sanitaria (ammesso finisca in tempi brevi) inizierà quella economica-sociale. L’Italia era già ferma al palo da 3 decenni e questa crisi rischia davvero di tramutarsi nella tempesta perfetta. I motivi per essere pessimisti non mancano, ma oggi vorrei concentrarmi più sull’aspetto sociale che su quello economico. Oh, intendiamoci, sono le opinioni del briaco del bar, ma volevo esternarvele in questo freddo lunedì sera di una stramba primavera.

Per sviluppare meglio il discorso devo fare una breve introduzione: il punto focale dal quale partire è a mio avviso l’ostinato rifiuto del popolo italiano di accettare di far parte ormai di una Nazione sempre più vicina agli standard nordafricani che quelli europei. Basta prendere qualsiasi indicatore per scoprire in che miserevoli condizioni si trovi il nostro Paese anche al confronto di Stati che solo fino a qualche anno fa reputavamo paesi del Terzo Mondo.

Il caso più eclatante è l’Estonia che, dopo le meraviglie del socialismo applicato, aveva iniziato gli anni ’90 alle prese con la fame e un’economia da ricostruire (giusto un dato, Pil procapite annuale nel 1993: ben 2680 dollari). Nella mentalità di buona parte del gagliardo popolo italico l’Estonia è una terra di puttane e poco più, peccato che la realtà sia ben diversa. In nemmeno 30 anni il Pil procapite ha raggiunto la cifra di 23.720 dollari, un dato più alto di quello che riescono a mettere sul piatto diverse regioni italiane. Che ci crediate o meno il PIL procapite delle nostre Basilicata, Sardegna, Molise, Puglia, Campania, Sicilia e Calabria (con la quale si registrano 10.400 dollari di differenza, tanto per ridere) è inferiore a quello estone.

L’Estonia sta vivendo una vera epoca d’oro (almeno prima del Covid) cavalcando il settore terziario, diventando attrattiva per moltissime imprese (grazie alla bassa tassazione ed un mercato del lavoro flessibile). Di fatto è un piccolo miracolo economico, che ha permesso alla popolazione di migliorare nettamente il proprio tenore di vita. L’Estonia è diventata attrattiva per colossi tecnologici ed è stata in grado di dare il via a Skype, tanto per dirne una. Ma l’oggetto di questo sconclusionato articolo non è certo l’Estonia, quanto il nostro disastrato Paese. Fare un confronto con l’Estonia sembrerà irrispettoso per coloro i quali si reputano eredi dell’Impero Romano, i Medici e Garibaldi, ma la fredda osservazione della realtà è sempre un bel bagno di umiltà da fare, per quanto da queste parti sia esercizio poco gradito. Personalmente non credo che questo Paese, dopo aver clamorosamente fallito il treno della rivoluzione informatica degli anni’80 e della globalizzazione possa anche permettersi di perdere il treno del secondo decennio del Terzo Millennio, ovvero la seconda rivoluzione tecnologica.

Dicevo che qualsiasi dato indica una nostra maggiore vicinanza al Nord-Africa che al resto d’Europa, quindi guardiamo alcuni di questi dati. Prendiamo ad esempio gli “unicorni”, definizione che serve a definire quelle giovani aziende che nel breve periodo hanno raggiunto il valore di mercato di almeno un miliardo di dollari e che quindi sitrovano ad essere locomotive di sviluppo e benessere per l’economia del futuro. Bene, al momento in cui scrivo quest’articolo l’Italia ha ZERO aziende di queste dimensioni. Ed il distacco con il resto del mondo inizia ad essere imbarazzante: basti pensare che a termine 2019 l’America poteva contare ben 151 unicorni, la Cina 82, mentre tutta Europa ne registrava 61 (con Inghilterra, Francia e Germania a fare la parte del leone del Vecchio Continente, ma si registrano “unicorni” anche in Repubblica Ceca, che forse dovrebbe essere un paese da tenere alle spalle in questa classifica).

La cosa ancor più grave è che siamo indietro anche su aspetti che ormai diamo quasi alla pari dei servizi essenziali. Prendiamo ad esempio la qualità della nostra rete Internet, ormai essenziale per un’impresa o una pubblica amministrazione, al pari di luce, riscaldamento ed acqua: siamo tra i peggiori d’Europa, dietro di noi ci sono solamente Albania, Macedonia e altri Stati che -come dicevo prima- rasentano gli standard del Terzo Mondo. Beffa tra le beffe l’Europa è l’area geografica dove il valore medio di velocità di connessione è il più alto al mondo. Nonostante questo non riusciamo a fare meglio di nessun Paese trainante. Anzi, il confronto con la Romania (altro arretrato paese di puttane e poco più, secondo i geniacci italici) o l’Ungheria è imbarazzante: i magiari hanno un valore di download di 99.74 Mbps contro il nostro 23.18.

Tutta questa pappardella per dire cosa? Che il nostro Paese o capisce le condizioni in cui si trova (possibilmente alla svelta) o rischia davvero di essere il primo Paese nella storia a fare un importante passo indietro evolutivo. I segnali purtroppo non sono incoraggianti. Se devo farmi una qualche proiezione per il futuro io vedo solamente un tristissimo e letale derby tra Ungheria e Venezuela. Mi spiego meglio: non vedo al momento una visione politica in grado di svegliarci dal torpore che avvolge questo Paese dalla metà degli anni ’80, anzi.

La destra, tutta presa dalla gara alla leadership tra Salvini e Meloni, propone un'interessante variazione sul tema anni ’70, periodo spesso sventolato come il Paradiso al quale ambire dalla parte avversa. Capiti i punti deboli della visione sinistrorsa l’accozzaglia di destra ha gioco facile nel prendere come epoca d’oro il decennio della Milano da bere, quando tutti si pensava di essere furbi e ganzi. Questa fazione, palesemente caciarona, subdola e mendace, nel mio derby calcistico gioca con i colori dell’Ungheria, in omaggio al sincero democratico leader magiaro Orban, modello di riferimento per i fini intellettuali al comando della sgangherata formazione slavinmeloniana.

Una visione del mondo piccola, retrograda ed illiberale, tutta protesa a negare diritti civili spiccioli alle minoranze, spesso usando come mantello magico un nazionalismo vuoto e straccione fine a se stesso. E’ bastato vedere all’opera Matteino Tuttominchia nel fantomatico Governo Carioca (ah, a proposito, come mai davanti al giudice si è giustificato dicendo "io non ho chiuso i porti?") e le strilla rabbiose della Meloni nell’ultimo decennio per capire che visione del Paese possano avere. Siamo i migliori del mondo, non abbiamo mai colpe, siamo eternamente vittime di un complotto internazionale atto a schiacciare la Grande Proletaria. Soluzioni semplici a problemi complessi come stile di vita, il tutto possibilmente condito da balle.

Già mi immagino la campagna elettorale a colpi di auto-castranti “Il turismo è il nostro petrolio” (non riuscendo a vedere in questo Paese, evidentemente, nulla più che camerieri, baristi e addetti alla reception). Oppure sbandierare il Made in Italy gastronomico come se fosse chissà quale fetta della nostra economia. Non mancheranno attacchi furiosi all’ “Europa delle banche”, potete starne certi.

Sarà uno spasso, da una parte non vedo l’ora. E, intendiamoci, mi auguro davvero che questa masnada di raccattati vada al potere. Non vedo l’ora di vedere all’opera i campioni dell’italianità, prima vanno al Governo e prima saranno spazzati via dalla realtà. La cara vecchia realtà, quella che già ha spazzato via buona parte dei pifferai grillini che hanno ammaliato il Paese nel decennio passato, unica medicina a questa armata Brancaleone petto in fuori e pezze al culo che non vede l’ora di afferrare lo scettro del potere.

E’ il loro turno, inutile rimandare l’amaro calice: vadano al Governo e si sfascino la testa con il mondo reale. Chissà, magari sarà la volta buona che impareremo qualcosa, ma c’è da dubitarne. Il nostro ritardo quindi non si limiterà più a infrastrutture, reattività economica ce tecnologica, ma si allargherà anche sul tema dei diritti civili (sarà un brutto periodo per nascere negri, froci o amanti delle droghe leggere), facendoci diventare quello che adesso sono Ungheria, Polonia e tutti quegli Stati che l’Unione Europea farebbe bene a bastonare un pochino, magari anche sventolando lo spauracchio di ridurli nuovamente al rango di giardino est-europeo di zio Vlad.

Al centro il nulla, formazioni come PiùEuropa, Azione, Italia Viva o altre sigle nemmeno entreranno in gioco, destinate nel migliore dei casi a raccogliere le briciole che cadranno dal tavolo.

Non che dall’altra parte si respiri un’aria migliore, l’inutile accozzaglia di ciò che rimarrà di PD-M5S e sigle minori sembra, se possibile, ancora più allo sbaraglio. Nella patetica esperienza del governo Giallorosso abbiamo avuto un piccolo antipasto di quello che ci attende: una scimmiottatura del neosocialismo straccione che nella mia immaginaria partita prende i colori del Venezuela, paese simbolico di questo modo di vedere il mondo. Si, perché Facebook lo vedete voi come lo vedo io ed anche a voi sarà capitato di vedere deliranti post di utenti vostri amici inneggianti a Cuba, che è Terzo Mondo, ma ha il vaccino gratuito.

Questa visione del mondo ingenua (sotto certi punti financo apprezzabile, ma francamente patetica), pervade coloro che si schierano dalla parte opposta della formazione ungherese. Il sub-strato culturale è quello, c’è poco da fare. Il ministro Speranza, col suo mellifluo libretto intriso di stucchevoli “buone” intenzioni sorrette da frasi pre-adolescenziali, è il vero portabandiera di molti, anche se magari nessuno voterà per Articolo 1 o come si chiamerà quella pattuglia di fuoriusciti dal PD ai tempi di Renzi perché vessilliferi della “sinistraquellavera”.

Sarà tutto un fiorire di “nuovo modello di sviluppo”, inni alla statalizzazione ristoratrice contro questo liberismo selvaggio e dabbenaggini simili.  Discorsi buoni alla terza liceo, sperando di tirarci su magari un pompino da Miss III° B alle Assemblee di Istituto, ma che in queste condizioni non ci possiamo permettere di ascoltare da esponenti politici che si trovano sottomano un Paese da amministrare e da rifondare. Ma non disperiamo, sono senza dubbio più probabili minime concessioni ai grandi rivoluzionari di Facebook/Twitter (in questi giorni su Twitter, ad esempio, va alla grande una proposta di ESPROPRIO delle aziende farmaceutiche) che a posizioni sensate. Destinati alla sconfitta senza nemmeno il gol della bandiera, saranno succeduti da una compagine talmente becera che forse ci troveremo addirittura a rimpiangerli.

Insomma, siamo nella merda fino al collo, ma a breve andrà molto peggio.

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