Stefano Rosso

Enrico Luschi • apr 09, 2020

Ci salverà la musica?

E' da un po' di tempo che non scrivo qualcosa sui personaggi semisconosciuti ai più ed oggi è il turno di Stefano Rosso (nome d'arte di Stefano Rossi).

Romano doc trasteverino nato nel 1948 e morto nel 2008, è stato un cantautore che riscosse un discreto successo dalla metà degli anni '70 senza però sfondare definitivamente come i mostri sacri Guccini, De Gregori, De Andrè, Dalla. Probabilmente molti di voi nemmeno lo hanno mai sentito nominare, mentre qualcuno lo conoscerà solo per la sua "Una storia disonesta" la prima canzone italiana a parlare di droga. Canzone che rimarrà come una fastidiosa etichetta appiccicata addosso a Rosso per tutta la carriera. Personalmente ho amato Stefano Rosso sin dal primo ascolto, anche se devo dire che non ne sono un fan accanito (sono un gaberiano), ma il fatto che sia totalmente ignoto ai più mi sembra un'ingiustizia meritevole di essere sanata. Per chi non lo conoscesse e cercasse una definizione sintetica del personaggio: uno strano mix tra Rino Gaetano, Caparezza, Daniele Silvestri. Un po’ poeta e un po’ trasteverino che guarda il mondo dall’uscio di casa, senza salvare nessuno, né i finti rivoluzionari del ’78, né gli hippy scaduti, né l’italiano medio, né alcun governo e tantomeno appoggiando gli anarchici.

Rosso inizia ad avvicinarsi al mondo della musica quasi per caso, quando adolescente impara a suonare la chitarra con un amico nel retro di una bottega di ortofrutta. Ben presto approda sul palco del Folk Studio, un locale storico della Roma underground degli anni '70 e da lì ha veramente il via una carriera che, dal punto di vista del riscontro commerciale, vivrà tra pochi immediati alti e molti lunghissimi bassi. Chitarrista di livello altissimo (esperti del settore lo reputano uno tra i migliori italiani nell'arpeggio in fingerpicking), caratterizza i suoi brani per usare spesso un tono quasi colloquiale, una piacevolissima ironia nei testi (quasi una bestemmia negli anni dell'impegno obbligatorio), testi spesso dissacranti e praticamente sempre autobiografici. Allo stesso tempo Rosso è capace di comporre testi toccanti e poetici, alternando nello stesso album pezzi di vari tagli. Un altro marchio di fabbrica delle canzone di Rosso rimane indubbiamente anche la particolare "r moscia". Le musiche tendono a fondere la canzone popolare romanesca con il country e il folk americano, vero amore musicale di Rosso.

La carriera di Rosso all'inizio sembra davvero fulminante, nel giro di 4 anni raggiunge il successo con la famosa canzone "Una storia disonesta" e la conferma con il secondo album "E allora senti cosa fò" (con il quale vinse il Telegatto del 1977). Lo si vede partecipare al Festival di Sanremo (si presenta sul palco dimenticandosi il testo della canzone) e scrivere testi per Baglioni e Mia Martini, mentre ha tra i suoi collaboratori un giovane Ivano Fossati. Incide con la prestigiosa RCA, etichetta dalla quale si separa a seguito di discussioni dovute alla scarsa promozione del suo terzo album, vero episodio chiave dell'oblio nel quale è ormai sprofondato Stefano Rosso.

Carattere schivo ed anarchico, l'allontanamento dalla RCA è infatti la sliding door della carriera di Rosso, che da quel momento passerà da promettente astro nascente a dimenticato. Persona non disposta a scendere a compromessi rifiutò più volte marchette commerciali e politiche (utili più che altro agli atri cavalli di razza della scuderia RCA) o gli inviti a Festival di ballo liscio e strappò seduta stante un rapporto di lavoro con un'agenzia che aveva fissato due concerti nella stessa data (a Viareggio e Ferrara). A seguito di una delusione amorosa si arruolò nella Legione Straniera per 3 anni. Continuò sempre a suonare e finì con l'autoprodursi gli ultimi album di una carriera di fatto finita prima ancora di cominciare veramente. Tra le curiosità del personaggio Rosso si trova anche l'album "Live at the station" del 2003, registrato interamente nella sala di attesa di una stazione.

Spero di avervi incuriosito e che possiate scoprire e apprezzare un cantante che indubbiamente meriterebbe un'attenzione maggiore, anche se postuma.

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