Oggi ho inviato al Sindaco della mia città, al Presidente della mia Regione ed alcuni parlamentari a me più prossimi territorialmente, una mia riflessione rispetto al dibattito in corso sul probabile contenuto del prossimo decreto valido dal 4/5/2020.
Ho già espresso attraverso associazioni professionali e sindacali con le quali sono in contatto quanto di seguito rilevando, però, difficoltà a rendere ufficiali certe osservazioni più per motivi contingenti che oggettivi.
Non avendo studiato medicina mi baso sulle linee guida dell’ISS, dell’ECDC, della EU-OSHA e dell’OMS. Linee che concordano tutte su un principio da seguire per evitare/limitare la diffusione per aerosol di un virus; distanza interpersonale di 2m (misura più prudente riportata dalle diverse fonti) oppure, SOLO SE questa non puó esser rispettata o in luoghi chiusi, utilizzo di mascherine idonee alla protezione reciproca dei soggetti presenti.
Principio alla base delle linee guida ministeriali sino a oggi divulgate e prese a riferimento con l’accordo Governo-Parti Sociali del 14/3/2020 per organizzare quei comparti produttivi che in questi giorni mai si sono fermati.
Anche a livello regionale, sia per gli ambienti di lavoro (Ord. 38 del 18/4/2020) che per gli ambienti extra lavorativi (Ord. 26 del 6/4/2020), è stato seguito questo principio. Oggi, in un contesto dove ognuno ipotizza un decreto immaginario che in realtà ancora non esiste, si percepisce la probabilità che, dal 4/5/2020, possa esserci l’obbligo di mantenimento della distanza interpersonale anche fra soggetti che portano le mascherine.
Questa formula “mascherina + distanza” rappresenterebbe quindi un “plus nostrano”? Una “precauzione ulteriore” che però, se scientificamente non sostenuta, non comporterebbe alcun beneficio sottintendendo, fra l’altro, una diffidenza di Stato sull’efficacia di un DPI certificato quale la mascherina.
In Italia si è passati repentinamente da una fase 0 caratterizzata da slogan istituzionali quali “va tutto bene” volti a rassicurare la cittadinanza, ad una fase 1 emergenziale dove gli slogan son cambiati in “andrà tutto bene”.
Nella fase 1 abbiamo tollerato:
1. L’assenza ingiustificata in tutte le forme/espressioni del potere legislativo, con la sola attività governativa presente che ha operato, all’inizio, in completa solitudine con atti amministrativi (i primi DPCM) per comprimere alcuni diritti personali costituzionali.
2. Una classe politica che, nei primi risvegli si è lamentata sul fatto che il Governo ha fatto una semplice “informativa” alle Camere quando le stesse Camere non hanno voluto utilizzare gli strumenti d’indirizzo e controllo sul Governo previsti.
3. Il diffondersi del virus dell’”annuncite” con decreti anticipati di giorni da dichiarazioni stampa del Governo con l’effetto di alimentare il sottobosco delle “fake-news” e le corse notturne verso casa. Poi tocca fare, a chi lavora a contatto con le realtà industriali, mille smentite su notizie false che si auto-alimentano.
4. Un’informazione di massa volta ad intimorire e a creare nei cittadini uno stato di diffidenza reciproco. Il mese di litania televisiva speso per demonizzare chi svolgeva l’attività motoria all’aperto senza cane, ufficialmente consentita dalle norme, poteva esser speso in modo più socialmente edificante.
5. L’esorbitanza di alcuni Sindaci e Presidenti di Regione che, al di fuori di ogni loro competenza, si sono sentiti liberi di “comandare”, per fortuna a parole, come se fossero gli Imperatori romani tornati in uno Stato di diritto sospeso da un virus.
Siamo in tanti ad essere stanchi di esser trattati così superficialmente.
I sacrifici richiesti ad ognuno e la gravità sanitaria passata meritano, da tempo, una disamina scientifica più accurata veicolata alla cittadinanza attraverso programmi informativi/formativi istituzionali tali da alimentare quel rapporto di reciproca fiducia con le Istituzioni eliminando quindi
anche la necessità di molti di ricercare una “propria verità”.
Gli effetti deleteri anche prodotti da certe scelte disinformative sono evidenti; si passa dai complottisti che negano il virus, a coloro che guidano in auto da soli con la mascherina o che la indossano in spazi aperti con nessuno vicino. Anche per questo, la fase 2 di durata indeterminata, andrebbe affrontata più seriamente e con una politica che riassuma il ruolo d’indirizzo che gli spetta.
Scegliere la formula mascherina + distanza come “plus nostrano” non va in questa direzione con l’effetto probabile di mantenere i cittadini in uno status d’incertezza e diffidenza fra ciò che è sicuro e ciò che non lo è, oltre a mettere una palla al collo a molte attività economiche e, di riflesso, ai loro dipendenti.
Gli altri Paesi europei che linee guida seguono o seguiranno?
Germania e Austria risulta che abbiano seguito le linee guida ufficiali per le loro attività economiche e lì si son fermati, investendo in forniture di DPI e formazione sul loro utilizzo. È utopistico, davanti ad una pandemia e ad una cittadinanza europea, tendere a misure comunitarie uguali?Si pensi solo al settore dei trasporti nel mercato unico europeo.
In Italia un volo italiano verso la Germania potrà portare pochi viaggiatori, tutti con la mascherina e tutti ulteriormente distanziati, per scelta nazionale.
Lo stesso volo fatto dalla Germania da compagnia tedesca potrà invece arrivare in Italia con il pieno dei viaggiatori che indossano la mascherina nel rispetto della letteratura scientifica continentale e internazionale.
Ovvio che questa formula non sia sostenibile neanche industrialmente se non nel caso in cui la differenza d’introiti in biglietti verrà ripianata, con liquidità diretta, dallo Stato visto che ha scelto tale linea.
Altrimenti i mancati introiti si trasformeranno in seri problemi per i lavoratori siano essi diretti che indiretti. Stessa cosa vale per i treni, i mezzi del TPL e tutti gli altri mezzi di trasporto pubblico.
L’interesse generale da traguardare non può che essere quello della tutela della salute, ma sempre con provvedimenti proporzionali e ragionevoli.
La ragionevolezza, rispetto alla peste del XVI sec, può oggi basarsi su linee scientifiche che allora non esistevano e certe discussioni in atto sembrano quindi alimentate più da impulsi di pancia e/o voglia di mantenere una deresponsabilizzazione politica nazionale.
Ci s’immagina l’incertezza generata da linee guida da adottare differentemente a seconda che un cittadino si trovi a lavoro, sul treno o a spasso per strada quando, teoricamente, il problema da affrontare è il medesimo virus e la scienza dia sempre le stesse raccomandazioni?
Il paradosso è il lavoratore che guida il treno e può stare vicino al suo collega con una mascherina fin quando è a lavoro. Quando invece scende dal treno come lavoratore e ci risale come passeggero dovrà invece tenere la mascherina oltre alla distanza di 1m/1,8m/2m dagli altri passeggeri tutti con mascherina. E quando scenderà da quel treno e si ritroverà da solo o distante dagli altri dovrà indossare la mascherina comunque come se il virus fosse un gas (come ora in Lombardia) o potrà non usarla fin quando rimarrà da solo/distante dagli altri come ora in Toscana?
L’invito è di evitare di creare queste macedonie normative irrazionali che generano caos oltre che danni economici a molte attività produttive e ai loro dipendenti. Per questo ho scritto questa piccola lettera, auspicando che certe mie considerazioni possano esser spunto per un dibattito democratico.
Francesco Manzini