Recensione "Una banda di idioti"

Enrico Luschi • 28 marzo 2019

Un capolavoro ancora sconosciuto ai più

Una piccola premessa: per un periodo di tempo al momento non quantificabile non potrò fare recensioni di libri letti al momento. Ho infatti avviato la lettura di "Padrini fondatori", l'ultimo libro di Marco Travaglio, che è di Travaglio per modo di dire visto che è la trascrizione letterale della sentenza sulla trattativa Stato-Mafia: 645 paginette scritte in maniera ampollosa con il linguaggio proprio delle sentenze della magistratura, che probabilmente mi impegnerà per un periodo di tempo abbastanza ampia. Quindi recensisco libri che ho già letto e che vi consiglio abbestia, brutti zotici che non siete altro.

Il libro di cui parlo oggi è "Una banda di idioti" diJohn Kennedy Toole (edizioni Marcos y Marcos, 461 paginette), un romanzo americano di diversi decenni fa ma che è stato pubblicato in Italia solo da pochi anni. Un capolavoro, tanto da meritarsi il Pulitzer del 1981. Difficilmente rido quando leggo libri, con questo avevo le lacrime agli occhi e la lettura ne risentiva. E' stato il primo libro che, una volta terminato, nonostante il gusto e l'amore incondizionato nato sin dalla prima lettura, mi ha lasciato davvero l'amaro in bocca per essere arrivato alla fine.

La storia dell'autore è affascinante: complessato da una madre troppo ossessiva, si è suicidatoa soli 32 anni a causa dei continui rifiuti alla pubblicazione proprio di questo libro. Era sua ferma convizione infatti che non avrebbe mai scritto nulla di qualitativamente più meritevole di pubblicazione di "Una banda di idioti", quindi tanto valeva spararsi in viso. Un tipino da seguire, insomma. Peccato però che abbia pubblicato, postumo, solo questo romanzo ed un altro ("La Bibbia al neon", valido ma nemmeno paragonabile a questa opera).

Questo libro è stato pubblicato solo grazie alle insistenze della madre che ha proposto un ammasso di fogli unti e appiccicaticci a cani e porci, trovando sponda, anni dopo il suicidio del figlio, solo in un professore di cui ora non ricordo il nome.

Per una volta mi autoinfliggo una dolce violenza e parlerò un po'anche della trama, perchè stiamo parlando di uno dei miei libri preferiti e quindi vi illumino. La storia del romanzo verte tutta sulle vicende che ruotano attorno ad uno strano soggetto del nome diIgnatius Reilly, un vitellone di circa 30 anni. Per descrivere il personaggio trovo che la cosa migliore sia trarre dalla prefazione di Benni: " Immaginatevi una strana miscela fra un barbone, un Oliver Hardy impazzito, un Don Chisciotte grasso e un Tommaso d'Aquino perverso. Immaginatevi un gigante con baffoni e berretto verde da cacciatore che, fra giganteschi rutti e flatulenze, si vede costretto a continui attacchi contro un'America "priva di geometria e teologia "".

Un personaggio davvero memorabile, estremamente colto e allo stesso tempo fuori dal proprio tempo, perverso e sicuramente paranoico. Sempre dietro a progetti insulsi e palesemente strampalati, una citazione di tal Boezio, continui rimandi alla sua unica esperienza di viaggio (bus per Minneapolis, mi pare) e azioni mirate a scardinare l'ordine costituito.

Il romanzo è ambientato nella New Orleans degli anni '60 del secolo scorso e sembra davvero essere una città costruita appositamente per questo romanzo. Ma il vero punto forte di questo libro sono senza dubbio i personaggi ed i dialoghi, veramente epocali e dadaisti. Ne cito solo alcuni, giusto per dare un'idea: la madre alcolizzata, iperprotettiva e bigotta, la figlia dei fiori Myrna, protagonista del colpo di scena finale e amica di penna di Ignatius, di origini ebraiche e che vive a New York, con la quale Ignatius intrattiene una strana relazione epistolare, il barista nero Burma Jones perno centrale ed anima del "Notti di Follia", locale nottturno palcoscenico di molte scene del romanzo.

La trama del libro è una cosa quasi secondaria, sebbene fili abbastanza lineare e sia quasi "credibile", giusto per fare un parallelismo rimanda alla mente "Paura e delirio a Las Vegas", nel suo susseguirsi di situazioni paradossali, equivoci da operetta e dialoghi surreali. Il tutto mentre l'autore bastona impietosamente l'America retrograda degli anni '60, il razzismo ancora presente negli Stati del Sud ed il conformismo della società americana.

Insomma, fate come vi pare, ma questo libro è davvero uno dei migliori che abbia mai letto.

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