Recensione "The only rule is: it has to work"

Enrico Luschi • ott 14, 2019

Oggi, per strafare, una recensione su un libro di baseball. In inglese. Il libro, non la recensione.

Ok, questo è solo un esercizio di stile, giusto per far vedere come sono ganzo. Una recensione su un libro di baseball in inglese credo interessi il 3% dei miei lettori. Comunque, cazzi vostri, perchè si parla di un capolavoro.

Piccola premessa personale, avevo promesso celere recensione del secondo libro di Iacoboni sul Movimento 5 Stelle ("L'Esecuzione") solo che, dopo anni di distacco, mi sono riavvicinato al baseball italiano e mi è risalita la scimmia. Ritrovarmi ad ordinare 80 euri di libri di baseball su Amazon è stato un attimo. Tra i titoli selezionati dopo accurata selezione c'è "The only rule is: it has to work" che in Italiano suona più o meno come "L'unica regola è che funzioni".

Il libro è scritto da due giovani giornalisti,Ben Lindbergh e Sam Miller, che fondamentalmente sono due nerd malati di baseball. Scrivono su prestigiose riviste (non solo sportive) e gestiscono una "seguitissima" trasmissione radio sul baseball. Prima di andare avanti è necessario un veloce inciso: da qualche anno nel baseball è in atto una rivoluzione copernicana basata su statistiche avanzate. Il rendimento di un giocatore di baseball si valuta infatti con una serie pressochè infinita di dati e statistiche. Solo per farvi qualche esempio, tra i mille: quale è la percentuale di successo di un battitore contro lanciatori mancini, quanti secondi impiega per correre circa 30 metri, se batte meglio ad inizio partita o alla fine, come gioca in situazioni di pressione etc etc....Il tutto valutato con dati non confutabili, 2+2 fa 4 per tutti. Il baseball, dalla fine del 1800, ragiona così per capire se un giocatore è valido o è inadatto al livello.

Anni fa il General Manager (Billy Beane) di una piccola formazione senza molti soldi della Major League (Oakland) capisce che non riuscirà mai sfidare sul campo le corazzate Yankees, Dodgers etc etc e sceglie di far saltare il banco puntando tutto su statistiche ignorate dal resto delle squadre, che permettono di scoprire giocatori scartati o sconosciuti dalle altre formazioni. Mette così in piedi un team che tiene testa fino alla fine a formazioni con un monte stipendi anche 4 volte superiore ai suoi Oakland. Questa storia è raccontata in maniera magistrale in "Moneyball - L'arte di vincere" un film con Brad Pitt tradotto anche in Italiano. Ve ne consiglio la visione, film davvero da 10.

Ok, questo libro è il Moneyball 2.0. I due autori vengono infatti convocati dal General Manager di una squadra di Indipendent League (per fare un paragone con il calcio direi la Promozione rispetto alla Serie A) che incarica i due nerd di gestire la formazione in base alle loro statistiche, senza preoccuparsi di altro. The only rule is it has to work, appunto. I due accettano senza farselo chiedere due volte, di fatto hanno un'occasione unica di poter passare dai giochini stile fantacalcio (ok, fantabaseball) alla gestione reale di una formazione che, per quanto scalcinata rispetto alla Major League, è pur sempre professionistica. Quindi si tratta di far firmare veri contratti a giocatori in base a statistiche e dati che altre società non hanno preso in considerazione, ma allo stesso tempo riuscire a far quadrare il bilancio ed il monte ingaggi.

Il libro, scritto in un continuo altrernarsi tra la voce narrante di Lindbergh e in seguito quella di Miller, fonde sia le problematiche gestionali che quelle tecniche. Si scopre così un mondo anche a me sconosciuto, ovvero quelle delle Leghe Indipendenti del Baseball USA, dove i giocatori guadagnano poco più di 500-1000 dollari al mese, sono ospitati dagli abitanti di Sonoma (in cambio di ingressi gratuiti allo Stadio), le palle battute fuori dal diamante di gioco -se riportate alla dirigenza- danno diritto ad un hot-dog gratuito o ad uno sconto sul prezzo di ingresso per una partita successiva. Partite alle quali assistono a volte 35 spettatori, dei quali magari 12 sono osservatori delle serie superiori. Un mondo lontanissimo dai contratti milionari della MLB, dove può capitare di disputare un'amichevole contro i detenuti del carcere della Contea con cecchini appostati sulle panchine o di essere ceduti ad un'altra formazione in cambio di una cena per tutti gli altri giocatori. O che uno dei propri giocatori diventi il primo giocatore di baseball professionistico a dichiararsi pubblicamente gay, con tutta l'attenzione mediatica del caso.

L'esperimento dal punto di vista tecnico lascia pienamente campo libero ai due nerd, che si sbizzarriscono in scelte rivoluzionarie, come shift a 5 interni e 2 esterni (più o meno come dire che a calcio si gioca con due portieri), catcher mancini per poter tirare in seconda base in 0.1 secondi in meno, closer al 4° inning e via dicendo. La nuova strategia, all'inizio ostacolata dal Manager in carica, sembra pagare, con la prima fase che si chiude con un ottimo record di 26 partite vinte contro 11 sconfitte. Nella pausa tra girone di andata e girone di ritorno i due si spingono ancora più a fondo nel delirio psicopatico di dati, numeri e statistiche, licenziano il Manager e mettono al suo posto uno dei coach che più si è mostrato a suo agio col nuovo corso. Come andrà a finire la stagione non ve lo dico, per i più addentro al baseball dico solo le parole walkoff all'11° inning.

Il libro è sicuramente da leggere. Si legge benissimo, certo che se si è totalmente a digiuno di baseball è impossibile capirci qualcosa, ma il livello di Inglese sufficiente a leggere le pagine della storia dei Sonoma Stompers è da 6 alle Scuole Superiori. Molto ironico, offre anche uno spaccato su un mondo borderline dove i Manager ed i tecnici sono sempre nel timore che i giocatori non ricevano un'offerta di lavoro che li priverebbe di una pedina magari fondamentale del loro scacchiere. E poichè non c'è nulla dipiù Americano del Baseball è una bella fotografia anche sull'America.
Insomma, se il New York Times lo ha inserito tra i best seller del 2016 un perchè c'è.

E' un libro tecnico, in inglese, quindi immagino quanto vi interessi. Ma volevo parlarvene ed eccoci qua.
Tanto mica siete arrivati in fondo.

Se vuoi condividere

Share by: