Ma te lo conosci Pilecki?

Enrico Luschi • nov 23, 2022

Witold Pilecki, una vita da raccontare.

Ave villici!

Come va? Che bel periodo, eh? Non mancano argomenti di cui parlare.

In questi giorni ho provato a pensare diverse volte a cosa scrivere, un richiamo che sento dai giorni delle due manifestazioni per la pace in Ucraina e che con il passare dei giorni non si è certo placato. Le proteste in Iran, l’ennesima truffa del mondo crypto, il governo che ogni giorno ci regala una perla, questi favolerrimi Mondiali di calcio, il crollo del nuovo mito della sinistrasinistraquellavera (il deputato ex sindacalista USB), il congresso PD e via discorrendo, ma tra una bega e l’altra non ho trovato il tempo di scrivere il mio solito post stile “cacciucco” e solo stasera trovo un’oretta per vomitare online le mie bizzarrie.

Mi sono fermato due minuti a riflettere ed ho pensato che è tanto tempo che non scrivo un articolo monografico su quelle personalità sconosciute o dimenticate (mi serve anche per farmi spazio nel deepweb e diventare un’icona pop underground: le pagine più visitate di questo sito sono ancora quelle dedicate a Nuti e al Cinema Universale di Firenze, pensate un po’….) e quindi ho deciso di omaggiarvi con una storia molto attuale, quella di tal Pilecki.

Chi era costui? Seguimi e non te ne pentirai, amico lettore. Ti assicuro che con questa storia al prossimo appuntamento Tinder farai un figurone (poi si fa a mezzo). Witold Pilecki nacque nel 1901 a Oloniec, in Polonia, da una famiglia con una storia travagliata alle spalle. Eredi di personaggi di primo piano della Rivolta del 1863, espropriati dei beni e deportati in Siberia, i Pilecki si trovarono in Polonia quasi per caso: Witold infatti passa l’infanzia tra Lituania e Bielorussia. Frequenta gli scout in giovane età, distinguendosi. A 17 anni è in prima fila nella difesa di Vilnius, due anni più tardi è a Varsavia nella guerra polacco-bolscevica. Appassionato d’arte e di poesia, è costretto a lasciare Belle Arti per dirigere la piccola tenuta di famiglia a Lida. A 30 anni si sposa e mette al mondo due figli, ma non perde lo slancio vitale: fonda un circolo agricolo, è a capo di un’unità locale di pompieri ed ovviamente dipinge e compone poesie.

Veloce salto in avanti: è il 1940, anni difficili se si è polacchi. Pilceki è membro dell’Armata Clandestina Polacca (ACP) e riceve un incarico che ha del bizzarro. I prigionieri che vengono mandati al campo di concentramento di Auschwitz non fanno più ritorno e sembrano scomparire nel nulla. Ci sono strane voci su quel campo tedesco, ma si stenta a crederci perché troppo inumane, quindi i superiori di Pilecki gliaffidano il compito di intrufolarsi nel campo e fornire rapporto dettagliato.
Il 19 Settembre del 1940 Witold Pilecki si fa arrestare durante una retata della Gestapo nei sobborghi di Varsavia con il finto nome di Tomasz Serafinski ed entra come prigioniero “volontario” di Auschwitz, targato 4859.
 
Cosa sia stata Auschwitz è risaputo solamente adesso, nel Settembre del 1940 probabilmente non era ancora sinonimo di orrore, ma Pilecki riesce ad “ambientarsi”, se così si può dire, ed inizia subito a tessere la tela di una primordiale resistenza interna al campo di concentramento. Ha la fortuna di essere assegnato, in maniera del tutto casuale, ad un compito che spesso lo porta fuori dal campo vero e proprio e che comunque lo esonera dai lavori più massacranti. Ne approfitta per organizzare gruppi di mutuo soccorso tra gli altri prigionieri del campo (strutturati nelle cosidette “cinquine”, ovvero sia gruppi di 5 elementi fidati e scelti personalmente da Pilecki) con il preciso compito di arruolare altri collaboratori. Il lavoro svolto è encomiabile, alla fine della missione il gruppo conta oltre 2.000 collaboratori: grazie a questa incredibile organizzazione Pilecki riesce ad inviare rapporti frequenti e puntuali ai suoi superiori, intercetta le frequenze radio tedesche, riesce in minime azioni di sabotaggio e molto altro.

Molto di quello che viene appreso dal 1940 al 1943 su Auschwitz si deve al lavoro del prigioniero volontario, che resiste nella fabbrica della morte per 2 anni e 9 mesi (quando in media un prigioniero ha una vita attesa non superiore ai 45 giorni una volta messo piede ad Auschwitz). I rapporti però non riescono a smuovere l’Armata Nazionale Polacca, non in grado di liberare ed assistere nella fuga migliaia di prigionieri, fiaccata dalle retate naziste, intimorita da eventuali rappresaglie tedesche verso i cittadini civili di Auschwitz e tutto sommato incredula innanzi ai rapporti del prigioniero volontario.

Riesce ad evadere insieme ad altri due compagni, non prima di organizzare uno stratagemma per non far pagare la sua fuga con la vita i prigionieri rimasti nel campo. Torna a Varsavia e si occupa di organizzare una rete clandestina (NIE) in grado di mettere in campo una controffensiva in caso di invasione sovietica della Polonia. Una Gladio ante-litteram, se vogliamo. Varsavia insorge nel 1944 ed in prima fila troviamo di nuovo Witold Pilecki, che viene nuovamente fatto prigioniero dai tedeschi ed inviato in un altro campo di concentramento (Treblinka, che nel macabro conteggio di morte ha numeri ben peggiori di Auschwitz) fino alla fine della guerra, quando poi lo vedremo nelle fila del 2° Corpo di Armata Polacco di stanza proprio in Italia per organizzare dall’estero la resistenza all’invasore comunista.

Tornato in Patria nel 1947 è arrestato dai sovietici, accusato da un tribunale staliniano di tradimento e collaborazionismo con i tedeschi (!), giustiziato in un carcere di Varsavia nel Maggio 1948 e sepolto in una fossa comune.

Pilecki, che riuscì ad evitare due volte la follia nazista e cadde sotto quella comunista, venne poi praticamente dimenticato per decenni. La dittatura sovietica ovviamente non ebbe alcun interesse a ricordare questo Eroe Polacco, si dovrà attendere non solo la Caduta del Muro di Berlino ma addirittura il 2006, quando il Presidente Polacco Kaczynski conferì alla sua memoria l’Ordine dell’Aquila Bianca, la più prestigiosa onorificenza della Polonia.

La storia di Pilecki, pressochè sconosciuta in questa penisola alla deriva nel Mediterraneo, è raccontata nel bel libro “Il volontario” di Marco Patricelli, edito da Laterza. Un’ottima idea per il regalo di Natale, per giunta. Con pochi euro fate un figurone.

In un’epoca dove si è tacciati di buonismo nel non godere di affondamenti di barconi di migranti, nell’osare suggerire che magari la Resistenza all’invasore debba essere armata e l’invasore respinto, di eroiche proteste per i mondiali in Qatar (cartellino giallo per una fascia no, ci mettiamo una bella mano davanti alla bocca e si fa pari) e di rigurgiti di ismi francamente fuori dalla storia, mi sembrava una bella cosa raccontarvi la vita di un uomo straordinario.

Ma tanto fare del bene a voi è come mettere la cravatta al majale.

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