Le colpe dell'OMS ed i geniali preparativi italiani

Enrico Luschi • 17 maggio 2021

Il punto di non ritorno per la Sars-CoV-2

Ave villici!

Siamo arrivati al punto in cui a Wuhan scoppia un focolaio di una strana polmonite, abbiamo visto lo strano comportamento del regime comunista cinese in molti passaggi chiave e quindi adesso continuiamo la nostra storia.

E’ il 23 gennaio 2020, finalmente Wuhan viene messa in lockdown, un ritardo incredibile visto che è dal 30 dicembre che le autorità sanno che in città sta circolando un virus sconosciuto e che è in grado di trasmettersi da uomo a uomo con estrema facilità.

Nella stessa data il segretario generale dell’Oms, l’eritreo Tedros Ghebreyesus, appare in video per fare una dichiarazione alla stampa mondiale. Fino ad ora non ha parlato molto, anzi il 9 gennaio ha dichiarato “L’identificazione di un nuovo virus in un così breve periodo di tempo è un risultato notevole e dimostra la maggiore capacità della Cina nel gestire le nuove epidemie”. Ma allora, forse, non poteva sapere che le autorità cinesi avevano già mappato il genoma senza renderlo pubblico, stavano per chiudere il laboratorio di Shangai che invece lo aveva pubblicato e tutto quanto abbiamo visto nelle puntate precedenti. Ghebreyesus è un personaggio affascinante: appena nominato segretario della più importante agenzia sanitaria mondiale non perde tempo nel lodare il Nuovo Celeste Impero, nomina il 93enne dittatore Mugabe ambasciatore di buona volontà dell’Oms per la lotta alle malattie non trasmissibili e tutta una serie di perle che lo rendono ben presto lo zimbello della comunità scientifico-sanitaria mondiale.

Nella sua conferenza stampa (in diretta pressochè mondiale) Ghebreyesus esordisce così: “Io oggi non dichiaro l’emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale”. Continua e afferma “Sappiamo che c’è trasmissione da persona a persona in Cina”, salvo poi smentirsi nel giro di pochi secondi quando dice “In questo momento non c’è nessuna prova di trasmissione da persona a persona”. Ma la vera chicca è il passaggio finale: “Ancora una volta vorrei ringraziare il governo della Repubblica Popolare Cinese per la sua cooperazione e trasparenza”. La folle conferenza stampa del capo dell’Oms quindi toglie definitivamente la sicura alla bomba che sta per esplodere, non usando termini come “epidemia”, non sponsorizzando il blocco dei voli dalla Cina e la quarantena obbligatoria per i viaggiatori di ritorno dal paese asiatico. Misure che nel 2003 bloccarono la Sars in Vietnam e che non vengono replicate nonostante i positivi precedenti del 2003.

Ghebreyesus il 28 gennaio vola a Pechino per incontrare il leader cinese Xi Jinping, alla fine dell’incontro rilascia un comunicato in cui afferma “Noi apprezziamo la serietà con cui la Cina sta prendendo questo focolaio, in particolare l’impegno da parte dei massimi dirigenti e la trasparena che hanno dimostrato, compresa la condivisione dei dati.” Gli fa da spalla il contro-comunicato del Ministero degli Esteri cinese che con insolita modestia istituzionale dichiara “La rapidità e l’enorme portata della risposta della Cina, quali raramente si vedono al mondo, dimostrano l’efficienza ed i vantaggi del sistema cinese”.

Passano i giorni e si arriva all’11 febbraio 2020, quando Tedros Ghebreyesus indice una nuova conferenza stampa. Nonostante ormai i soli numeri ufficiali cinesi parlino di oltre 42.000 casi e di più di 1.000 morti, si inizino a segnalare casi sparsi un po’in tutto il mondo, il direttore dell’Oms ancora parla di focolaio e non di epidemia o pandemia. Ma il vero colpo di genio è quello di dare il nome globalmente riconosciuto a questo nuovo virus: si chiamerà COVID-19, un errore clamoroso che si rivelerà fatale. Evitando di legare il nome del virus a quello che realmente è, ovvero sia una nuova epidemia di SARS, si impedisce che miliardi di persone colgano immediatamente la gravità della cosa e che gli esperti possano consultare 17 anni di studi internazionali, seguendo le precauzioni che anni addietro sconfissero la Sars. Certo, c’è anche da valutare che chiamare il Covid Sars magari avrebbe portato qualcuno anche ad indagare sui depistaggi cinesi del decennio scorso, ma questo è bieco complottismo, quindi evitiamo di approfondire e restiamo ai meri fatti non smentibili.

Nelle stesse ore in cui l’Oms chiama il virus Covid-19 l’Ictv (International Committee on Taxonomy of Viruses) bocciano immediatamente il nome Covid-19 e stabilisce che il nome debba essere Sars-CoV-2, ovvero sia il secondo coronavirus della Sars, quello che tutti gli esperti sanno essere il virus che sta mettendo in ginocchio Wuhan. Ma purtroppo l’Ictv non gode della stessa copertura mediatica riservata all’Oms e nel parlare comune passa Covid-19. In ogni caso questo rimando alla Sars resta un campanello d’allarme per la Cina, è l’ora di mettere in campo la Batwoman, la dottoressa Shi Zhengli.

Nonostante la situazione in Cina stia degenerando la dottoressa più famosa della Cina trova il tempo di pubblicare un articolo su “The Lancet” in cui chiede a gran voce che il virus non venga chiamato Sars-CoV-2. Già il titolo è tutto un programma: “E’ necessario un nome diverso per il nuovo coronavirus”. Perché? Semplice, ce lo spiega nuovamente la dottoressa Shi mettendo nero su bianco le seguenti parole: “Il nome Sars-CoV-2 potrebbe avere effetti negativi sulla stabilità sociale e lo sviluppo economico nei paesi dove il virus sta provocando un’epidemia, forse perfino in tutto il mondo. La gente va nel panico al pensiero di un ritorno della Sars. Viaggiatori o investitori potrebbero non voler visitare un paese con un’epidemia in corso”. Frasi più da bar in una disputa politica che da articolo scientifico da pubblicare su quella che è la più famosa rivista del settore, ma evidentemente la dottoressa Shi da tempo ha smesso di seguire la scienza ed ha abbracciato la scienza politica.


Interrogato in merito l’ineffabile Tedros Ghebreyesus fa la sua scelta, ribadendo di voler usare Covid-19 e non Sars-CoV-2: “Dal punto di vista della comunicazione del rischio, l’utilizzo del nome SARS può avere conseguenze indesiderate, creando inutile panico.”

Adesso cambiamo decisamente argomento e parliamo di cosa è successo in Italia, perché siamo il peggior Paese del G20 sotto qualsiasi punto si osservino i dati inerenti il Sars-CoV-2 (chiamiamolo col suo nome). Per fare questo bisogna tornare con la mente ai giorni della fantasmagorica esperienza del Governo Carioca, quello del cambiamento, a trazione Lega+M5S, il Conte I per capirsi. Il governo di scappati di caso che l’Italia si regala con le elezioni del Marzo 2018. Per chi non fosse troppo addentro alla politica italiana è bene ricordare che la Lega ha comprovati canali con il regime russo di Putin, con il quale si fanno affari e si studiano strategie di implementazioni del consenso, mentre il M5S è ondivago, flirtando ora con il Venezuela di Maduro, ora con la Russia del nuovo Zar e soprattutto con la Cina del nuovo imperatore Xi Jinping, tutta gentina raccomandabile. Se vi interessano questi legami vi suggerisco lettura di un qualsiasi libro a firma Iacoboni, Canestrari o Biondo, coloro che maggiormente hanno indagato sulla galassia M5S.

Tra le tante iniziative folli del governo più sgangherato della storia italica si registra l’adesione alla Via della Seta, un’iniziativa cinese per estendere il suo raggio di influenza al di fuori del territorio asiatico. La firma di questo accordo è datata 23 Marzo 2019, quando a Roma si palesa addirittura Xi Jinping in persona per apporre la sua firma sul trattato accanto a quella di Giggino Di Maio, in uno dei cortocircuiti che solo le vicende italiane sanno regalare. L’accordo è abbastanza fumoso, ma l’Italia è il primo Paese europeo e del G7 a legarsi alla dittatura cinese in cambio di presunti investimenti nei settori ferroviari, aereonautici, spaziali e culturali, oltre che una più semplice libertà di movimento per i turisti e una facilitazione nel commercio della carne suina italiana congelata, dato che Pechino si trova in difficoltà a causa di un’epidemia di peste suina che ha abbattuto milioni di capi in pochi mesi.

Pur essendo i grillini i politici più vicini a Pechino il vero artefice dell’accordo è Michele Geraci, sottosegretario del Ministero dello Sviluppo Economico in quota Lega. Passano i mesi e il grande Matteino Tuttominchia Salvini si suicida politicamente con la svolta del Papeete, facendo finire il governo Carioca e mettendo in sella il Governo Giallorosso, il Conte II, formato da una strana alleanza tra grillini e PD, oltre qualche partitino minore. Nel nuovo Governo si ritrova ministro della Salute il mitico Roberto Speranza, che su queste misere paginette avete già conosciuto per la recensione del suo libro dadaista sulla pandemia.

Ma l’aver firmato la Via della Seta implementa molto gli scambi culturali e affaristici con la Cina, ad esempio una delegazione della Regione Lombardia atterra a Shangai il 18 novembre 2019. E’ una bella delegazione, ci sono l’Assessore al bilancio, diversi industriali, funzionari della Fiera milanese e molti professori universitari. Fanno un bel giro ed incontrano un sacco di gente: il presidente della Bank of China, quello della China Eastern Airlines per poi andare allo Shangai Exibition Center per il Salone del Mobile. A quella manifestazione partecipano anche centinaia di industriali, progettisti, rappresentanti, interpreti, carpentieri, montatori e giornalisti al seguito. Il giorno dopo volano nella regione di Shandong per accordi commerciali perpoi far ritorno in Italia e riprendere la solita vita di tutti i giorni.

Ma questa spedizione non è l’unica, sia chiaro. Negli stessi giorni parte per la Cina una delegazione dell’ospedale Niguarda di Milano. Visitano reparti e ospedali della zona tra Shangai e Wuhan, mentre a fine ottobre erano partiti sindaci della provincia di Mantova con destinazione Shanxi. E ciò ovviamente vale anche in senso inverso. Ad esempio per la manifestazione Artigiano in Fiera a Milano (30 novembre-8 dicembre 2019) arrivano da diverse zone della Cina 37 espositori (con relativo staff, faccendieri, giornalisti e vari ed eventuali al seguito). Almeno 4 stand vengono da Shangai e la cosa ha la sua rilevanza.

Il coronavirus che si diffonde in Italia infatti non è quello isolato a Wuhan, ma quello isolato a Shangai, lievemente differente. I focolai in Cina in effetti al 23 gennaio 2020 sono almeno 4: Shenzen, Zhuhai (vicino a Macao), Wuhan e appunto Shangai. E’ interessante notare che proprio dalla zona di Shangai (esattamente Hangzhou) proviene la maggioranza dei cinesi che vivono in Italia. E’, casualità, anche la sede della Zhejiang University School of Medicine, il cui laboratorio lavoroa sui famosi virus ZC45 e ZXC21 di origine militare che abbiamo visto nella puntata precedente di questo nostro viaggio.

https://nextstrain.org/narratives/ncov/sit-rep/2020-01-30

Una delle scelte più irresponsabili di tutta la questione Sars-CoV-2 è la scelta che viene fatta il 13 gennaio 2020. Il mondo ancora sa poco del disastro di Wuhan, grazie soprattutto alla censura del regime comunista cinese, anche se perfino il morbido segretario generale dell’Oms ha lanciato un primo campanello di allarme il 9 gennaio, appena 4 giorni prima.

Il 13 gennaio invece il governo italiano ha pensato bene di mandare due manager in Cina, a Pechino. Sono a firmare un memorandum d’intesa per lo sviluppo del traffico aereo tra Italia e Cina. Il giorno successivo si festeggiano i “triplicati i collegamenti tra Italia e Cina”, come annunciano trionfalmente Enac e Ministero dei Trasporti, che tramite la Ministra Paola De Micheli dichiara tronfia e fiera che “L’Italia diventa la nazione europea con il numero più alto di collegamenti aerei con la Cina”. Se l’apertura del Conte I verso la dittatura cinese era totale, anche quella del Conte II non sembra da meno. E questo è il primo chiodo sulla bara per il pandemonio che si scatenerà a breve sul nostro Paese. Purtroppo gli errori non si fermeranno qui.

Continua….

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