Probabilmente, nei piani di Lukashenko questo avrebbe dovuto far sbollire la protesta, la paura e le botte di solito placano anche gli spiriti più bollenti, ma nonostante il caos di Domenica 9 Agosto la protesta va avanti anche Lunedì e la polizia raddoppia la dose. Ma nemmeno le botte e gli spari del lunedì placano la rivolta che si arricchisce anche di cittadini sconcertati dalla violenza della polizia e dalla impressionante serie di arresti. Stesso copione anche il Martedì, la serata più violenta a Minsk, con scene da manicomio. Nella stessa giornata il momento chiave è quello che vede la sfidante venire portata per 5 ore in un edificio governativo nel centro di Minsk, venire minacciata di morte e espulsa in Lituania.
Questo, al momento, è il punto di svolta della storia. Probabilmente questo atto dittariale è la goccia che fa traboccare il vaso, specialmente se unito all'eccesso di brutale violenza. Sia come sia questa mossa ha l'effetto contrario di quello sperato: i cittadini bielorussi, mostrando un coraggio ed uno spirito ammirevole ormai sconosciuto nel mondo moderno occidentale, continuano a scendere in piazza e piano piano si uniscono alla protesta dottori degli ospedali impressionati dal numero dei feriti e dalle condizioni delle persone ricoverate. Le prime personalità importanti del mondo economico, sociale e culturale della Bielorussia si schierano con i dimostranti. Le grandi compagnie IT reclamano lo sblocco della rete internet per poter lavorare e scendono in sciopero, per la prima volta dal 1991 (!), milioni di lavoratori.
Ciò che accomuna questa gente è molteplice, da una parte il desiderio di cambiamento dopo 30 anni di Lukashenko, da una parte voglia di democrazia, ma il vero collante di queste proteste è la dichiarazione di guerra lanciata al popolo dal dittatore e dalla polizia nella notte del 9 Agosto, quando i manifestanti sono stati massacrati dalle forze militari. Sconcertati dal vedere bastonati i propri figli in strada o dal saperli rinchiusi in galera per motivi incredibili agli occhi di noi occidentali, i cittadini bielorussi si sono ricompattati e quotidianamente vivono la loro "primavera di Minsk", sfidando le granate, le torture nelle caserme e nelle prigioni, i camion sulla folla e gli spari ad altezza uomo.
Al momento si contano ufficialmente solo due morti, un numero non credibile per i video visti e gli 81 dispersi che nessuno sa che fine abbiano fatto, mentre stesse fonti governative parlano di 7.000 arresti nelle sole nottate di Domenica e Lunedì. Nel momento in cui scrivo sembra entrata in gioco, sebbene inn colpevolissimo ritardo, anche l'Unione Europea. E' notizia di sabato la spedizione di Ambiasciatori dei Paesi UE sul luogo del primo omicidio, mentre ieri la Germania ha convocato l'ambasciatore bielorusso e la Lituania ha proposto di inserire Lukashenko nella lista dei criminali internazionali della Interpol. In tutto questo ovviamente l'Italia tace, con quel mentecatto che ci ritroviamo come Ministro degli Esteri. La vittoria di Lukashenko è stata riconosciuta a livello diplomatico solo da quei campioni di democrazia di Cina e Russia (oltre che stati inutili come Tagikistan etc etc).
Nella giornata di Domenica si sono registrate due manifestazioni nel cuore di Minsk, una dei supporter del dittatore ed una dei manifestanti avversi al regime. Lukashenko nel suo discorso alla folla, una vera rarità, visto che non parlava in pubblico ad una folla di cittadini da anni, ha nervosamente sproloquiato su tutto lo scibile umano. Ha avanzato la folle teoria di una invasione militare dei soldati NATO ("negri e gialli", testuale) e del rischio per la Bielorussia di diventare il "cesso di Europa". Un forte richiamo alla Russia, che dopo essere stata accusata durante tutta la campagna elettorale dal dittatore, sembra essere l'unica ancora di salvataggio per rimanere attaccato al potere. I manifestanti, radunati quasi forzatamente da tutta la Bielorussia dietro la minaccia di perdita del posto di lavoro, non superavano la cifra di 10.000 unità.
Nel pomeriggio invece una folla sconfinata di persone (almeno 300.000 nella sola Minsk, città di 2 milioni di persone, capitale di una nazione che non arriva a 10 milioni di abitanti), si è ritrovata dietro il desiderio di cambiamento e l'avversione al regime comunista, quasi un crollo del Muro 2.0 a distanza di 30 anni dalla versione originale. Sembra davvero di assistere alla nascita di una Nazione, un popolo che sembra chiedere solamente la possibilità di uscire dalla dittatura e potersi confrontare con un regime democratico, regime che i cittadini bielorussi, di fatto, non hanno mai visto. Stupisce anche il non vedere alla manifestazioni oceaniche di questi giorni bandiere russe o europee, come se il desiderio principale della folla fosse solo davvero quello di autodeterminanzione e di libera scelta.
Nel momento in cui scrivo sembra impossibile che Lukashenko esca incolume da questa incredibile rivolta pacifica di fronte ad una violenza quasi incredibile anche solo da descrivere, una lezione di dignità che almeno l'Europa farebbe bene a cogliere.