Come nasce una Nazione

Enrico Luschi • 16 agosto 2020

Cosa sta succedendo in Bielorussia

Nel mentre l'Italia passa settimane intere a parlare dei preziosissimi 1.800 euro di bonus richiesto da 3 parlamentari con la faccia come il culo, ma dimenticandosi di riflettere sul come è stata scritta la norma incriminata e senza nemmeno accorgersi che l'INPS cede nominativi di privati cittadini che (per quanto miserevoli e biasimevoli sul piano etico-morale) non hanno infranto alcuna legge, il mondo incredibilmente va avanti senza curarsi troppo delle nostre paturnie. Ad esempio in Bielorussia sta succedendo un mezzo finimondo o un cambiamento epocale, a seconda di quale inquadratura preferite per questo strano film.

Come da tempo a questa parte la politica estera non rientra nei giornali o nei TG, quindi bisogna che ci pensi zio Luschi a rendervi edotti per non farvi fare le solite figure da peracottari sotto l'ombrellone. Prendiamola larga, che tanto il tempo non ci manca: partiamo dal definire cosa sia la Bielorussia.

Al contrario di ciò che i più sprovveduti potrebbero pensare la storia della Bielorussia non si lega da molto a quella della Grande Madre Russia, infatti nel corso della Storia la Bielorussia è molto più legata ai paesi baltici. Nel corso del Medioevo fu il cuore pulsante del Granducato di Lituania, un regno che si estendeva dal Mar Baltico al Mar Nero, risultando il regno più esteso di Europa. La capitale dell'allora attivissimo Granducato di Lituania era Vilnius, che rimase in territorio bielorusso fino al 1918.

Solo nel XVII° secolo, per la prima volta, la Russia si impadronisce dei territori bielorussi. La Bielorussia è stata anche il principale campo di battaglia della fallita invasione napoleonica ai danni della Russia zarista. Il Gran Corso non ha lasciato una grande immagine di sè nei freddi territori bielorussi, peraltro. Il rapporto con la Russia è sempre stato travagliato, molte le insurrezioni nel corso della Storia, purtroppo sempre fallite. Durante la Prima Guerra Mondiale la Bielorussia fu completamente conquistata dalla Germania nella sua avanzata verso Est, alla fine del conflitto viene proclamata la Repubblica Popolare Bielorussa subito schiantata dall'Armata Rossa e sostituita dallo stato fantoccio della Repubblica Socialista Sovietica Bielorussa, che resiste fino al 1941 quando la Germania torna ad impossessarsi del suolo bielorusso. Si "libererà" solo nel 1944, cadendo di nuovo sotto l'egida dell'URSS. La Seconda Guerra Mondiale è stata devastante per la Bielorussia, risultano morti un terzo degli abitanti al momento dell'aggressione tedesca, molte città vengono rase al suolo e Minsk viene quasi cancellata (per la 18° volta in nemmeno 1.000 anni di storia). La devastazione di Minsk è tale che i sovietici pensano addirittura di spostare la capitale a Mogilev. La Bielorussia si proclama indipendente dall'Unione Sovietica nel 1991 e qui entra in gioco Lukashenko, l'ultimo dittatore d'Europa.

Eletto a sorpresa nel 1994 e dichiarato primo presidente della neonata repubblica bielorussa, Lukanshenko cristallizza sin da subito lo status quo, rifiutando l'apertura al capitalismo e al libero mercato, al contrario di tutte le neonate repubbliche ex-sovietiche. Immediatamente mette in atto una politica autoritaria, schiacciando le opposizioni e rendendosi protagonista di numerosi scivoloni diplomatici, sfociati in veri e propri atti criminali. Già nel 1995 fu il responsabile morale dell'uccisione di due cittadini statunitensi partecipanti ad una competizione di mongolfiere, rei di aver invaso lo spazio aereo bielorusso senza autorizzazione. Nel 1996 cacciò dal parlamento 89 deputati su 110, definendoli "sleali" verso il Paese. Nel 1998 fece espellere dal Paese gli ambasciatori di Francia, Gran Bretagna, USA, Germania, Italia, Grecia e Giappone per "cospirazione". Solo dal 2001, ovvero la data delle prime elezioni contestate dall'OCSE, Lukashenko si avvicina inesorabilmente alla Russia. E' curioso notare come dal dittatore bielorusso il caro Zio Vlad apprende subito come forzare la Costituzione per avere mandati illimitati e poteri pressochè assoluti. Nel 2006 Lukashenko vinse le elezioni con un modesto 82.6%, scatenando le prime proteste popolari per le palesi violazioni ai seggi e nei conteggi. Stessa scena nel 2010, quando la nuova vittoria con "maggioranza bielorussa" porta in piazza a protestare 10.000 persone, brutalmente pestate dalla polizia. Gli sfidanti elettorali vengono tutti pestati ed arrestati. Anche nel 2015 Lukashenko vince con l'83% e nuovamente ci sono proteste per le vie di Minsk, anche se meno violente delle precedenti

Si arriva così al fatidico 2020, durante la campagna elettorale ne succedono di ogni genere. Vengono scartati circa 10 candidati, senza alcun rispetto delle regole democratiche, dei 4 sfidanti al dittatore l'unica vera candidata è Svetlana Tikhanovskaya . Una candidata del tutto casuale, visto che si è registrata alla competizione elettorale veramente all'ultimo momento disponibile in sostituzione del marito blogger, scartato dal comitato elettorale e imprigionato preventivamente a Maggio per i suoi video di protesta caricati sul suo canale Youtube.

Che il clima fosse surriscaldato era abbastanza scontato: in Bielorussia c'è una tassa sulla disoccupazione (cioè se sei disoccupato devi pagare una tassa) mal digerita dalla popolazione e l'ondata di Covid 19 è stata minimizzata dal Presidente, che ha prima negato l'esistenza del virus (salvo ammalarsene), per poi indicare come cura vodka, trattore e sauna per infine addirittura rifiutare 900 milioni di dollari dal Fondo Monetario Internazionale in cambio del lockdown, visto il propagarsi del virus in maniera incontrollata. Il tutto è farcito da una situazione economica da sempre sull'orlo del tracollo.

Dicevamo una campgna elettorale scintillante, con l'arresto di vari candidati e di circa 1.300 persone da Maggio al giorno delle votazioni, il tutto farcito con un presunto colpo di Stato che il sommo leader sventa con la sola imposizione delle mani. La stessa sera delle elezioni Lukashenko dichiara di aver vinto con oltre l'80% dei voti e a Minsk si scatena l'inferno: scendono in piazza migliaia di persone e la repressione della polizia è brutale, viene spenta la rete internet in tutta la nazione (blackout che durerà 3 giorni), in alcuni quartieri di Minsk viene staccata anche l'acqua e l'elettricità. Vengono lanciate granate sui manifestanti, spari ad altezza uomo (ci scappa un morto) la polizia bastona selvaggiamente cittadini inermi e si vedono scene indegne di un Paese ai confini dell'Europa nel 2020.

Probabilmente, nei piani di Lukashenko questo avrebbe dovuto far sbollire la protesta, la paura e le botte di solito placano anche gli spiriti più bollenti, ma nonostante il caos di Domenica 9 Agosto la protesta va avanti anche Lunedì e la polizia raddoppia la dose. Ma nemmeno le botte e gli spari del lunedì placano la rivolta che si arricchisce anche di cittadini sconcertati dalla violenza della polizia e dalla impressionante serie di arresti. Stesso copione anche il Martedì, la serata più violenta a Minsk, con scene da manicomio. Nella stessa giornata il momento chiave è quello che vede la sfidante venire portata per 5 ore in un edificio governativo nel centro di Minsk, venire minacciata di morte e espulsa in Lituania. 



Questo, al momento, è il punto di svolta della storia. Probabilmente questo atto dittariale è la goccia che fa traboccare il vaso, specialmente se unito all'eccesso di brutale violenza. Sia come sia questa mossa ha l'effetto contrario di quello sperato: i cittadini bielorussi, mostrando un coraggio ed uno spirito ammirevole ormai sconosciuto nel mondo moderno occidentale, continuano a scendere in piazza e piano piano si uniscono alla protesta dottori degli ospedali impressionati dal numero dei feriti e dalle condizioni delle persone ricoverate. Le prime personalità importanti del mondo economico, sociale e culturale della Bielorussia si schierano con i dimostranti. Le grandi compagnie IT reclamano lo sblocco della rete internet per poter lavorare e scendono in sciopero, per la prima volta dal 1991 (!), milioni di lavoratori.



Ciò che accomuna questa gente è molteplice, da una parte il desiderio di cambiamento dopo 30 anni di Lukashenko, da una parte voglia di democrazia, ma il vero collante di queste proteste è la dichiarazione di guerra lanciata al popolo dal dittatore e dalla polizia nella notte del 9 Agosto, quando i manifestanti sono stati massacrati dalle forze militari. Sconcertati dal vedere bastonati i propri figli in strada o dal saperli rinchiusi in galera per motivi incredibili agli occhi di noi occidentali, i cittadini bielorussi si sono ricompattati e quotidianamente vivono la loro "primavera di Minsk", sfidando le granate, le torture nelle caserme e nelle prigioni, i camion sulla folla e gli spari ad altezza uomo. 

Al momento si contano ufficialmente solo due morti, un numero non credibile per i video visti e gli 81 dispersi che nessuno sa che fine abbiano fatto, mentre stesse fonti governative parlano di 7.000 arresti nelle sole nottate di Domenica e Lunedì. Nel momento in cui scrivo sembra entrata in gioco, sebbene inn colpevolissimo ritardo, anche l'Unione Europea. E' notizia di sabato la spedizione di Ambiasciatori dei Paesi UE sul luogo del primo omicidio, mentre ieri la Germania ha convocato l'ambasciatore bielorusso e la Lituania ha proposto di inserire Lukashenko nella lista dei criminali internazionali della Interpol. In tutto questo ovviamente l'Italia tace, con quel mentecatto che ci ritroviamo come Ministro degli Esteri. La vittoria di Lukashenko è stata riconosciuta a livello diplomatico solo da quei campioni di democrazia di Cina e Russia (oltre che stati inutili come Tagikistan etc etc). 

 

Nella giornata di Domenica si sono registrate due manifestazioni nel cuore di Minsk, una dei supporter del dittatore ed una dei manifestanti avversi al regime. Lukashenko nel suo discorso alla folla, una vera rarità, visto che non parlava in pubblico ad una folla di cittadini da anni, ha nervosamente sproloquiato su tutto lo scibile umano. Ha avanzato la folle teoria di una invasione militare dei soldati NATO ("negri e gialli", testuale) e del rischio per la Bielorussia di diventare il "cesso di Europa". Un forte richiamo alla Russia, che dopo essere stata accusata durante tutta la campagna elettorale dal dittatore, sembra essere l'unica ancora di salvataggio per rimanere attaccato al potere. I manifestanti, radunati quasi forzatamente da tutta la Bielorussia dietro la minaccia di perdita del posto di lavoro, non superavano la cifra di 10.000 unità.

 

Nel pomeriggio invece una folla sconfinata di persone (almeno 300.000 nella sola Minsk, città di 2 milioni di persone, capitale di una nazione che non arriva a 10 milioni di abitanti), si è ritrovata dietro il desiderio di cambiamento e l'avversione al regime comunista, quasi un crollo del Muro 2.0 a distanza di 30 anni dalla versione originale. Sembra davvero di assistere alla nascita di una Nazione, un popolo che sembra chiedere solamente la possibilità di uscire dalla dittatura e potersi confrontare con un regime democratico, regime che i cittadini bielorussi, di fatto, non hanno mai visto. Stupisce anche il non vedere alla manifestazioni oceaniche di questi giorni bandiere russe o europee, come se il desiderio principale della folla fosse solo davvero quello di autodeterminanzione e di libera scelta.

 

Nel momento in cui scrivo sembra impossibile che Lukashenko esca incolume da questa incredibile rivolta pacifica di fronte ad una violenza quasi incredibile anche solo da descrivere, una lezione di dignità che almeno l'Europa farebbe bene a cogliere. 

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