Ultima tappa del viaggio nel mondo del grande Nuti
Chiudiamo questa piccola trilogia nel mondo di Francesco Nuti.
Eravamo rimasti al grande successo di pubblico (ed ennesima stroncatura della grande critica cinematografica italiana) di "Caruso Pascoski di padre Polacco" del 1988. L'anno successivo Nuti porta sugli schermi "Willy Signori e vengo da lontano", forse il film più "cupo" (se così si può dire) del regista pratese. Nuti impersonifica un giornalista che ha un fratello disabile (Haber, che vincerà il Nastro d'Argento) che non si capisce bene quanto soffra o quanto si approfitti di questo handicap. Una sera Nuti fa un incidente in auto, uccidendo il conducente dell'altra vettura. La compagna della vittima lo cerca e lo accusa di essere il responsabile di questa fatalità. Nuti cerca di aiutarla, ma la donna sembra godere nel fare l'esatto opposto di quanto chiesto dal giornalista. Nonostante questo continua a starle vicino, col tempo nasce qualcosa tra i due, ma la fidanzata di Nuti capisce tutto e cerca (con un'offerta economica) di allontanare la nuova rivale. Nuti viene a sapere di questa offerta economica e, schifato, decidere di fuggire col fratello in Africa, dove ci sarà un colpo di scena finale. Un film molto sottovalutato, Nuti non certo al massimo della forma ma, riguardandolo in questi giorni, l'ho trovato ancora gradevole. Di certo non è il mio preferito, ma la classica stroncatura pare francamente esagerata.
Passano due anni e Nuti sforna "Donne con le gonne", un piccolo capolavoro. Ricordo personale, lo andammo a vedere con mio papà in un piccolo cinema dell'entroterra maremmano: 6 spettatori, io e lui compresi. A memoria è stato il primo film che ho visto al cinema, anche se forse ci sarà stato prima qualche cartone. La storia è quella tra Renzo (Nuti) e Margherita (Bouquet), un rapporto tempestoso tra scambisti, rapimenti e risse furibonde all'interno della coppia. Altro successone al botteghino, altra impietosa recensione ("film di rara inettitudine", scrisse uno dei più quotati critici), ormai una costante, nonostante i film risultino campioni d'incassi. Accusato di essere piatto (?) e misogino, il film è secondo me, almeno nella prima parte, una delle opere più riuscite di Nuti. La storia è ricca di colpi di scena, situazioni assurde e memorabili condite da battute geniali. Parlarne oggi, di un film del genere, non è facile: nell'epoca del perbenismo e del politicamente corretto come si fa a scrivere che si trova geniale un film come "Donne con le gonne"? Pare che questo film abbia influenzato molto la crisi di Nuti, che non ha mai accettato la pesantissima critica alla trama del film. Non saprei dire, ma a livello personale in una ipotetica trilogia per iniziare a conoscere ed apprezzare Nuti lo inserirei, tra "Madonna che silenzio c'è stasera" e "Caruso Pascoski" (anche se è difficile, almeno per me, lasciare fuori "Io amo Andrea").
Eccoci al dramma: OcchioPinocchio, il film che ha segnato la carriera e la vita di Francesco Nuti, la sua opera maledetta. Il film è del 1994, passano ben 3 anni prima che Nuti riesca a tornare sugli schermi. Lo fa con un progetto molto ambizioso, la rilettura del Pinocchio di Collodi in salsa moderna, girato interamente in USA. Un progetto costosissimo e che, per la prima volta in carriera, si rivelerà un fiasco clamoroso anche per quanto riguarda gli incassi. Costato oltre 20 miliardi (di cui 2 di tasca di Nuti), figlio di una lavorazione lunghissima, la cui uscita è stata rimandata diverse volte, con cause e controcause per portarlo a termine, ne incasserà solo 4. Nuti non si risolleverà mai da questa debacle.
Del film che dire? E' sicuramente il film più strano di Nuti, non bello nel complesso, anche se il primo tempo a me continua a piacere veramente molto. Svacca nella seconda parte, lasciando trasparire tutta la baraonda della produzione, delle cause e del filo perso dal regista. La storia, brevemente: Pinocchio è un adulto con evidenti problemi mentali, si viene presto a sapere che è figlio di un ricchissimo banchiere americano che desidera, una volta scoperto questo figlio lontano, portarlo in America ed introdurlo nel suo ambiente. Pinocchio (che viene rinominato Leonardo dal nuovo padre) non si trova bene nel suo nuovo mondo ed ha nostalgia di casa. Scappa e riesce a seminare gli scagnozzi del padre che lo cercano in lungo ed in largo. Nella fuga fa conoscenza con Lucy, anch'essa in fuga per l'(immotivata) accusa di omicidio. I due cercano di fuggire attraversando il confine, ma Lucy viene colpita a morte e Pinocchio viene chiuso in una casa di cura, dalla quale riesce a fuggire. In questa nuova fuga si capisce che Pinocchio in realtà non è ritardato come sembra (o semplicemente è finalmente diventato uomo interamente) e, finalmente, passa il confine.
Allora fu un fiasco, riguardato oggi forse è da rivalutare. Sono usciti film ben peggiori che hanno avuto un successo di critica e di pubblico ben più marcato. Se vogliamo possiamo leggerlo anche come il Forrest Gump in chiave italiana, un film che esce dai canoni classici che fino ad allora Nuti aveva proposto al suo pubblico. Per la prima volta vediamo la regia di Nuti in altre chiavi oltre quelle della commedia, con risultati non poi così terribili. Un film sicuramente da rivalutare. Ripeto, i primi 35-40 minuti per me sono tra i migliori di Nuti. Un Nuti che non accetta il fiasco, su questo film tanto sognato e tanto voluto, ed entra in una depressione che lo porterà ad essere il fantasma di se stesso.
Purtroppo sul tubo integrale non c'è, ma si trova facilmente. Vi consiglio di guardarlo, scevri da pregiudizi.
Ci vogliono 4 anni per rivedere Nuti al cinema. Torna nel 1998 con "Il Signor Quindicipalle", un film che chiude una trilogia legata al biliardo e che forse serve a Nuti per tornare a parlare di qualcosa che sa far presa sui suoi fan. Anche questo film è tribolato, con una produzione molto lunga e si teme che faccia la stessa fine del precedente. Tuttavia esce e tutto sommato è abbastanza piacevole. La storia è molto semplice e simile alle due precedenti legate al panno verde: Nuti gioca bene al biliardo, conosce la prostituta Sissi (Ferilli all'apice della sua bellezza) e si innamora, ovviamente creando situazioni caotiche ed intrigate. Nuti quindi per tornare sceglie strade già battute, il solito cast di maschere (Novello Novelli su tutti) e sforna una commedia gradevole, non certo indimenticabile, ma che lo riavvicina al pubblico. Qualche spunto del Nuti di un tempo (bellissimo il finale) e qualche gag notevole, ma nel complesso forse sarebbe servito altro dopo il flop di OcchioPinocchio. Immancabile pollice verso della critica, ma il film incassa 11 miliardi, cifre lontane dai record storici pre Pinocchio, ma comunque molto buone per film Italiani dell'epoca.
Arriviamo al 2000 e Nuti ci regala "Io amo Andrea", uno dei suoi film più sottovalutati in assoluto. E' uno dei miei preferiti e , come detto sopra, lo reputo uno dei film essenziali per avvicinarsi a Nuti. A Milano Nuti è un veterinario che si è da poco separato dalla moglie, con la quale rimane in buoni rapporti. Conosce una giovane bella e misteriosa, ci passa una notte insieme, ma il giorno dopo viene a sapere che costei è legata sentimentalmente ad un'altra donna, Andrea (Francesca Neri). Andrea è molto gelosa della sua compagna e fa di tutto per non perderla. Nuti (Dado nel film) con qualche sotterfugio riesce a continuare a frequentare la nuova fiamma che poi però sparisce. Nel frattempo, per casi fortuiti, piano piano si lega proprio ad Andrea. In uno strano tira e molla si arriva ad un finale molto curioso. Per mio conto si tratta dell'ultimo vero film di Nuti, quasi un testamento artistico, ci sono molti rimandi al meglio del suo repertorio: trovate sceniche già viste in altri film (il cazzotto alla signora nel bagno, come in Caruso Pascoski), l'ambientazione esclusivamente notturna come in Stregati, la prova del discorso da fare all'amata (Son contento). Per me è un gioiellino sul rapporto sempre più intrigato tra uomo e donna, che non merita l'ennesima critica negativa che gli regala la stampa di settore. Commercialmente fu un discreto successo, anche se ormai le vette dei 30 miliardi di incassi non sono più alla portata del nostro Cecco.
L'anno dopo, il 2001, segna la fine di Nuti come regista. Esce infatti "Caruso zero in condotta", francamente un film inutile, sul quale è anche difficile scrivere due righe. La storia è quella di Nuti che ha dovuto crescere da solo la figlia. La bimba fa parte di una baby-gang, quindi Nuti cerca di pedinarla per cercare di capire e risolvere il problema. La crisi di Nuti in questo film è palese, una pellicola completamente sbagliata che segna la fine di uno dei più grandi talenti del cinema comico del nostro dopoguerra.
Da quel momento in poi Nuti ha difficolà a trovare i fondi per produrre un altro film , fa solo una comparsata in un filmetto senza pretese ed entra in una spirale di depressione che lo porterà all'alcolismo selvaggio. Nel 2006, a causa di un incidente domestico mai ben chiarito, Nuti entra in coma, rischiando di morire. Si salverà, anche se sarà costretto su una sedia a rotelle senza avere più l'uso della parola.
La fine più triste per un personaggio che ci ha regalato tanti momenti divertenti con i suoi film, che nel panorama cinematografico italiano attuale manca come l'aria. Un talento vero da riscoprire, che non ha lasciato un erede degno di nome per stile e classe e che avrebbe fatto molto comodo in periodi bui come questi. Immaginarsi un film di Nuti sui trombamici, su Facebook ed i social media in genere o su qualsiasi tematica dell'attualità è un esercizio mentale che speriamo un giorno sia portato a compimento da un nuovo Nuti, del quale però non c'è traccia nemmeno all'orizzonte.
Ci manchi, Francesco.