Salve villici!
Per iniziare alcune scuse: volevo e dovevo scrivere prima, ma tra Dicembre e l'inizio di Gennaio ho avuto un po'da fare tra lavoro, progetti di business dadaisti con i miei amici strani, feste, un principio di depressione, obesità e dermatite: in buona sostanza posso scrivere solo ora.
Fortuna vostra che questo sito è gratis e non propone abbonamenti per leggerne i mirabolanti contenuti, quindi non rompete tanto i coglioni ed accontentatevi di leggermi quando mi va di scrivere.
Per questo primo pezzo del 2020 non mancherebbero certo i temi da affrontare, sono stato incerto se approfondire meglio la questione della candella all'odore di fica della Paltrow o la morte di Pansa oppure lo sfascio continuo del panorama politico-sociale-economico dell'Italia ma ho deciso di buttarmi su una notizia che vedo che scatena furenti commenti e discussioni nel panorama culturale italiano (che, per i miei canoni, sono 7-8 account Twitter e Facebook e non più di 5 blog):
CHIUDONO LE LIBRERIE STORICHE.
Una notizia curiosa, come curioso è il vespaio che ha sollevato nel Paese più analfabeta d'Europa, con la media libri letto per anno tra le più basse del Continente. Questi sono dati, non discorsi. Ovviamente il passaggio successivo è che la colpa ricade inesorabilemente su Amazon, mostro colpevole di ogni aberrazione. Siccome sono malaticcio ho tempo per scrivere, quindi vorrei chiudere una volta per tutte la questione Amazon, almeno sul mio sito, almeno ho l'anima in pace.
Partiamo dal caso delle singole librerie storiche che hanno chiuso in questi giorni tra Roma e Torino, una "privata" e l'altra a marchio Feltrinelli. Amazon avrebbe colpa di aver fatto chiudere queste librerie, secondo quanto si sente su TV, giornali o al bar. La risposta più facile sarebbe quella di chiedere un esempio, uno solo, nel quale Amazon dopo aver stroncato la concorrenza (in questo caso la libreria storica di Torino o un punto vendita franchising Feltrinelli, per giunta....) approfitti della posizione dominante di mercato per imporre un prezzo folle, più alto dei negozi reali, su un determinato bene. Non vi viene in mente un romanzo di Volo su Amazon a 135 euro, eh?
Già questo dovrebbe essere sufficiente per troncare la discussione, ma possiamo continuare questo ipotetico dibattito.
Qualcuno di quelli furbi si mette in bocca la parola "dumping" (stringi stringi significa operare temporaneamente in perdita per far fallire i concorrenti). Parola detta a caso, non vera: Amazon non opera in perdita, quindi parlare di dumping è dire una cazzata. Ha un margine ridottissimo, ma non opera in perdita. Scommette, per strategia aziendale, di essere avanti alla concorrenza grazie ad altri aspetti, quindi si può permettere di minimizzare il guadagno sul singolo articolo e giocare sulla quantità di vendite. Non è difficile.
La morte di queste piccole librerie, come di mille altre cose, non la decreta Amazon ma la tecnologia. L'unica via di salvezza è nello iperspecializzarsi, altrimenti muori. Che ti piaccia o meno, è il progresso che lo impone. Non adeguarsi a questa banale verità è come pretendere di continuare ad allevare cavalli per diligenze nell'epoca di macchine & motorini per lamentarsi della cattiveria di Ford, Fiat, Opel o via dicendo. Si, perchè Amazon è cattiva, ma sono i suoi clienti che decretano il successo di chi riesce a portarti a casa un libro introvabile in 3 giorni facendotelo pagare meno di qualsiasi altra libreria "fisica". Stesso discorso si può utilizzare per spiegare il fenomeno di Ryanair o Easyjet: giratela come volete, ma se riescono a battere compagnie sussidiate dagli Stati è perchè lavorano meglio, lavorano su tratte che altri vettori non hanno voluto toccare, offrono prezzi migliori, vendono più biglietti etc etc.
Prima o poi l'ipotetico interlocutore potrebbe uscirsene con: AMAZON NON PAGA LE TASSEEEEEEE!!!!11!!!!!
Altra cosa curiosa da notare nel Paese con la più alta evasione fiscale del mondo civile, dove vedersi mettere in mano lo scontrino o la ricevuta è ormai un'usanza folkoristica riservata a pochi. Eppure in quei negozi o di fronte a quei professionisti tutte queste remore morali non le sento. Anche qui poi la cosa è tecnicamente non vera: Amazon paga tutte le tasse dovute. "Ma lo scorso anno ha pagato solo 64 milioni di euro di tasse nel nostro Paese" potrebbe osservare il nostro sagace amico contrario ad Amazon. Vero, ma è esattamente la cifra che deve pagare, visto che la tassazione è sui profitti (utile) e non sui ricavi (tutte le entrate). Per i più duri di comprendonio provo a semplificare: è vero che magari Amazon vi vende la lavatrice a -sparo a caso- 350 euro, ma il suo margine su quel singolo prodotto è 12 euro, quindi le tasse che deve pagare sono su quei 12 euro, non sui 350. Tanto? Poco? Giusto? Non giusto? Fate voi, la legge sul retail questo dice, ovvero aliquota al 24% sul profitto. Lo dico per i più dementi tra i miei lettori: i numeri dell'esempio della lavatrice sono casuali. Sarebbe poi da spiegare ai detrattori di Amazon il miliardo e 600 milioni di investimenti in Italia nel solo 2018 (una cifra mica da ridere per un Paese che da 15 anni parla di taglio dei privilegi della politica per ben 50 milioni di euro all'anno) ed i 18.000 posti di lavoro creati, ma questi sono numeri che la libreria marcia di Torino sicuramente avrà prodotto nella sua secolare attività di business.
Altro evergreen: SFRUTTANO I LAVORATORIIIII!!!1!!1!
Otto ore di lavoro con una pausa di 30 minuti, alle volte anche 6 ore il Sabato. Con stipendio puntuale. Roba da Treblinka.
Chissà alla libreria storica di Torino come funzionava. O come funziona in altri vettori di retail e logistica.
Io non lo so come mai in Italia si sta sviluppando questo clima culturale, questo odio verso il mondo che cambia e il volersi ancorare agli anni '80 (che però allora andrebbero presi in blocco: guerre di mafia, terrorismo, mutui al 20%, volo per Londra a un milione e mezzo di Lire, massimo una TV in casa etc etc....). Basta, volevo scrivere altro ma mi sono depresso e mi si è di nuovo alzata la febbre.